Nel Giappone contemporaneo non vengono meno le tradizioni che da secoli affascinano il mondo occidentale. La ricerca e manifestazione continua verso l'armonia e la bellezza sono percepibili ovunque in questo Paese rigido e severo.
La lingua, per esempio, si differenzia sensibilmente a seconda del proprio interlocutore. Per un giapponese è fondamentale variare registro nel caso ci si rivolga a un proprio "superiore" o a un proprio "compagno maggiore" (senpai) nell'ambito lavorativo (e qui il concetto di gerarchia è profondamente radicato), o anche a un persona più anziana anche di soli pochi anni. La differenza è principalmente nell'aggiunta di termini e locuzioni di cortesia, che non modificano il significato della frase, ma l'abbelliscono e l'armonizzano. A volte sembra quasi che vogliano onorare attraverso il suono delle parole.
Nei supermercati, poi, le cassiere intrattengono ripetendo il prezzo di ogni singolo prodotto acquistato, annunciano la somma che ricevono e contano il resto ad alta voce un paio di volte mostrando banconota per banconota. Il tutto di fronte agli occhi del cliente. Impossibile ricevere un resto sbagliato. Anche al momento della consegna dello stipendio viene ripetuto il classico rituale.
E il rito di gentilezza è presente un po' ovunque, durante i colloqui di lavoro, la consegna di volantini pubblicitari lungo le strade affollate, l'incontro fra due amici e così via. Nulla è, per così dire, semplice e improvvisato. Basti solo pensare che le recepioniste degli hotel (ma io penso anche le commesse delle maggior parte dei negozi) devono seguire un training per imparare a salutare, a rispondere al telefono e a porsi nei confronti del cliente (che in questo caso viene considerato "superiore").
Insomma, una dura scuola per apprendere le buone maniere e la gentilezza tipica giapponese.
La lingua, per esempio, si differenzia sensibilmente a seconda del proprio interlocutore. Per un giapponese è fondamentale variare registro nel caso ci si rivolga a un proprio "superiore" o a un proprio "compagno maggiore" (senpai) nell'ambito lavorativo (e qui il concetto di gerarchia è profondamente radicato), o anche a un persona più anziana anche di soli pochi anni. La differenza è principalmente nell'aggiunta di termini e locuzioni di cortesia, che non modificano il significato della frase, ma l'abbelliscono e l'armonizzano. A volte sembra quasi che vogliano onorare attraverso il suono delle parole.
Nei supermercati, poi, le cassiere intrattengono ripetendo il prezzo di ogni singolo prodotto acquistato, annunciano la somma che ricevono e contano il resto ad alta voce un paio di volte mostrando banconota per banconota. Il tutto di fronte agli occhi del cliente. Impossibile ricevere un resto sbagliato. Anche al momento della consegna dello stipendio viene ripetuto il classico rituale.
E il rito di gentilezza è presente un po' ovunque, durante i colloqui di lavoro, la consegna di volantini pubblicitari lungo le strade affollate, l'incontro fra due amici e così via. Nulla è, per così dire, semplice e improvvisato. Basti solo pensare che le recepioniste degli hotel (ma io penso anche le commesse delle maggior parte dei negozi) devono seguire un training per imparare a salutare, a rispondere al telefono e a porsi nei confronti del cliente (che in questo caso viene considerato "superiore").
Insomma, una dura scuola per apprendere le buone maniere e la gentilezza tipica giapponese.
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L'arte dell' Ikebana |
Tutto ciò si sposa perfettamente con le tradizionali arti giapponesi (e ve ne sono moltissime (!!), dalle più classiche, come la pittura, la danza, il teatro a quelle più originale, come l'arte dell'arrangiare i fiori, ikebana, l'arte della cerimonia del tè, in pratica come fare, versare e bere il tè, l'arte del combattimento, cioè le arti marziali e tante altre). E la cosa più interessante è che lo studio di anche una sola singola arte racchiude i principi di base di tutte le altre.
Per esempio, l'arte della calligrafia (cioè la scrittura di ideogrammi), shodo 書道, ossia la via (道) della scrittura (書), si basa sul concetto che attraverso l'azione del pennello i gesti del calligrafo vengono convertiti in segni. E in questi singoli segni circola una forza (気 ki, ossia l'energia vitale della filosofia buddhista) che si armonizza nel rapporto tra una linea e un'altra. In altre parole, si dice che viene tracciato un percorso sulla carta che, per il suo carattere di istantaneità, simboleggia l'interiorità del calligrafo. Una specie di ritratto del "cuore".
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiE_rBpE_AlPl34Km4kQDpcFTm_gh3yUOvfZDl0Tr60p5Lo9901QASHWvEjhJkQpoEeV0GT7XPzNKdkF7oS8T7mg3JckOvvCsz3NxvzhqADxWwsTLiYZrzj-liU40yP2YsRngOscAcSHg/s320/shodo3.jpg)
E' a dir poco disarmante percepire tanta bellezza e sensibilità così a lungo trasmesse da generazione a generazione. Soprattutto quando nel mondo contemporaneo giapponese ci si trova di fronte a individui che hanno dimenticato se stessi per devozione o rispetto, o meglio, in quanto devoti e portatori di rispetto forniscono un elegante alibi al proprio "io" al fine di non essere "costretti" a manifestare il proprio libero arbitrio e intuito. Una scelta verso un'esistenza sicura, protetta, unidirezionale e inconsapevole. La pace dell'anima senza "io".
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無心 (mushin, "mente vuota") |
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