La storia di un viaggio. Dapprima verso le vette dell’Himalaya, e poi verso il continente indiano. Recarsi in seguito nella terra del Sol Levante, ricercando le proprie radici, e fermandosi ad esplorare i luoghi che conservano l'antico insegnamento buddista. E poi tornare in India, e viverla, tentando di comprenderne l’essenza. Infine, ritrovarsi nuovamente a casa nel piccolo Tibet indiano, che con dedizione e compassione continua a insegnare la via verso la conoscenza della vera natura dell’essere umano.

Wednesday, July 6, 2011

しょうがない shoganai

E se non è la sola terra a misurarsi tanto spesso con il volto meno benevolo della natura, l’arcipelago nipponico è probabilmente quello che ne ha realizzata la più profonda trascrizione all’interno del proprio sistema culturale.     Nell’individuo e nella società giapponese vivono fianco a fianco un partecipe culto della natura e un freddo fenomenismo naturalistico. Com’è noto, ogni manifestazione della cultura nipponica presenta, anche in epoca postmoderna, incessanti rimandi alla realtà naturale, e in particolare alla vicenda delle stagioni, cioè al divenire della natura. L’atteggiamento con cui la mente giapponese si relaziona a tale divenire è improntato a un operoso fatalismo; in un orizzonte concettuale privo di particolari sporgenze metafisiche, essa si muove su un doppio binario: da un lato un pragmatismo a forte connotazione sociale, dall’altro una sommessa rassegnazione al corso degli eventi naturali. Così accanto all’intervento operativo, pianificato, meticoloso e disciplinato e rivolto pressoché esclusivamente al ripristino dei meccanismi produttivi, ha luogo un processo di razionalizzazione dell’ineluttabile, che immancabilmente approda al capolinea dello “shoganai”, “non ci si può fare nulla”, la frase/pensiero con cui ogni giapponese riesce a disarmare qualsiasi situazione di scacco.      (Il Foglio, 12 marzo 2011)


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